martedì 11 settembre 2012

Letture estive: Amélie Nothomb, Acido solforico


Libro numero tre dell'estate: era un regalo si compleanno ma quest'inverno non sono riuscita a leggere molto, così l'ho conservato per dopo.

Amélie Nothomb, Acido solforico... Mi ricorda Truman show per l'argomento ma molto più feroce... Un reality in un campo di concentramento. All'inizio avevo un po' timore a iniziarlo, per la mia incapacità a sopportare la ferocia degli uomini su innocenti e animali.. Un dolore sordo alla bocca dello stomaco, poi avanzando nella lettura lo spirito grottesco della vicenda, i l suo reale filo diretto con la realtà mi ha permesso di andare avanti in questo strano mondo di telecamere, televoto, audience, nomination e morte...

Non voglio parlare però dell'ovvia critica che l'autrice fa alla società contemporanea, al dolore sbattuto in prima pagina, ma da linguista appassionata di parole voglio soffermarmi prima sul senso profondo dell'avere un nome, l'identità e la consapevolezza di sè, passa attraverso il nome.

L'anonima sigla numerica rende non-persone, come avevano drammaticamente intuito i nazisti e tutto ciò che esiste nella realtà e nella mente è legato al nome. Il balletto psicologico tra le due eroine della storia si dipana lungo il filo del nome. L'eroina-buona attraverso la manipolazione del suo nome salva temporaneamente la sua 'baracca'. L'antieroina invece, che il nome ce l'ha dall'inizio acquista umanità solo quando questo viene separato dal nome del ruolo nel campo: kapò.

Il percorso di rivolta in nome della dignità umana avviene sempre sul filo della parola: conversare a tavola mentre si mangia la brodaglia, come se si stesse in un convivio; darsi del lei sempre; i discorsi al pubblico dietro le telecamere (tanto simili a quelli del film Quinto potere... Chissà se l'autrice l'ha visto), l'appello al mondo attraverso l'occhio magico della tv che ha lo strano potere di far passare le parole ma impedire che si trasformino in messaggi e azioni.

L'eroina invita gli ascoltatori a spegnere il televisore, i media l'acclamano, ne parlano, amplificano il suo messaggio e l'audience sale. Gli organizzatori danno la capacità di telefoto al pubblico, i media si indignano, ...ma tutti, il giorno dopo votano.

Le due protagoniste sembrano un'unica entità tanto si compensano e si contrappongono. L'aguzzina innamorata della vittima, per questo amore esclusivo e malato diventa capace di eroismo e stima.

La fine parla dei sopravvissuti.

"ogni volta che incontro una persona nuova le chiedo come si chiama e ripeto ad alta voce il nome
- capisco..
- e non è tutto, ho deciso di far felice la gente
- ah, e come?diventerà una dama di carità?
- no, sto imparando a suonare il violoncello.
- il violoncello ? É magnifico... Perchè il violoncello?
- perchè è lo strumento che somiglia di piu alla voce umana."

Solo una citazione perchè parla del potere salvifico dell'arte, del legame tra musica e uomo, dei nomi, della fine ... Per fortuna una abbastanza lieta fine... E in questa strana estate ci vuole.

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