venerdì 4 ottobre 2019

I compiti della prof - un film in un immagine - Wargames 1983


Anche se nel bar, come in tutti i bar davanti la scuola, i rumori si inseguivano e si riproducevano a volume sempre più alto; anche se la luce del mattino entrava prepotente, nel bar c’era un altro luogo. Un luogo nel luogo. Erano due ambienti simili e opposti al tempo stesso. Una specie di matrioska. 
David era al livello della bambolina più interna, la matrioska che non si apriva, perché era l’ultima, era il nucleo della vita. La sfida. 
David e lo schermo nero erano uno lo specchio dell’altro. Il nero rifletteva il volto di David ma al tempo stesso lo catturava come se anche lui facesse parte del gioco. Lo sfondo nero era riempito dalla faccia assorta di David. Era concentrato, il ragazzo. Le mani si muovevano velocissime all’inseguimento dei nemici. Le traiettorie degli alieni correvano sulla faccia di David, intrecciavano percorsi di punti luminosi azzurrini  intorno al naso, agli occhi, alla bocca e si perdevano...
Un’ombra gli tagliava a metà il profilo. La metà in ombra era la metà nascosta, quella di un ragazzo curioso, che affrontava le sfide come un videogioco, pronto a passare al livello superiore, a non perdere la moneta già inserita nella macchina. L’altra metà, quella in chiaro era l’aspetto che mostrava agli altri, a scuola, con i compagni, le battute al prof, la consulenza psicologica ricorrente e inutile, i genitori persi dietro le loro cose. La camicia a quadretti sbottonata sulla maglietta a girocollo era la sua divisa. Banale, uguale a tutti gli altri. Uguale?

mercoledì 2 ottobre 2019

i compiti della prof - descrivi l'immagine che hai scelto



L’hotel aveva un’insegna rossa. Le lettere erano squadrare e sporgevano all’angolo della facciata, in verticale. Ogni lettera era agganciata al muro con due staffe di ferro. Nonostante fosse davanti al mare non sembrava che la ruggine le avesse intaccate. Le pareti della facciata erano dipinte di bianco. Un bianco caldo che tendeva al sabbia.tra un piano e l’altro (era un piccolo hotel a tre piani) tre fasce di ardesia un po’ spioventi creavano un netto contrasto.

Ero proprio all’altezza delle lettere “tel”, il sole era quasi perpendicolare e creava una zona d’ombra che sfiorava la parte superiore delle finestre. Le vedevo tutte e due. Erano evidenziate da una cornice di muratura e gli infissi erano di legno appena più chiaro. Ogni finestra era divisa in due parti. Erano di quel tipo che si apre alzando la metà inferiore. Quella più vicina all’insegna era chiusa: un rettangolo grigio-blu segnato a metà. 

Poggiato sull’ardesia c’era un gabbiano. Voltava il dorso al mare. Lo vedevo di profilo, immobile. Sembrava che avesse gli occhi socchiusi, controvento. Il mare dietro di lui era quasi calmo appena striato di bianco. 
La giornata aveva colori netti e decisi, il mare era molto più intenso del cielo che all’orizzonte si schiariva, diventando quasi bianco. Era limpido il cielo. Una piccola nuvola bianca solitaria di allontanava spinta dal vento. 
Il gabbiano invece rimaneva immobile nel vento ma ogni tanto sembrava aprire gli occhi e fissare l’uomo. 

Anche l’uomo aveva il volto rivolto all’uccello. Era affacciato all’altra finestra, quella aperta. Si appoggiava con le braccia sul davanzale e una mano era tranquillamente abbandonata verso l’esterno. Si era portato la tazza del tè e l’aveva poggiata accanto a sè affacciata insieme a lui. Avrebbe finito di bere lì, mentre guardava fuori. 
Indossava un maglioncino grigio da marinaio con il collo a lupetto. Aveva tagliato da poco i capelli. La luce faceva risaltare la dominanza del rosso e disegnava un’ombra lunga sul viso.

Poi c’era la tenda. In alto disegnava una specie di sipario, come a teatro. Poi uno dei due teli, catturato dal vento uscì dalla finestra aperta e si spiegò verso il mare quasi fosse un’altra nuvola, trattenuta questa, che non riusciva a prendere il largo.