martedì 12 novembre 2019

I compiti della prof - descrizione sensoriale al buio

Quando cammini in una casa di notte, al buio e la riconosci, ti appartiene, è la tua casa. 

Ho cambiato letto e prospettiva. Anche se c’è il parquet come nella mia vera camera da letto, sento la consistenza lucida e densa di questa casa milanese dove tra una riga d l’altra non si percepisce discontinuità. Anche qui cammino a piedi nudi di notte senza ciabatte e i piedi si orientano. Appena mi alzo Poggio su un tappeto, largo abbastanza per fare tre passi, poi con le mani tocco la cornice della porta, che tengo socchiusa per non far scattare la maniglia. La trovo peró con le mani, il metallo di notte è più freddo del legno. Sto attenta a non tirarla in giù perché il cigolio non disturbi la notte. Le macchine non passano, a tratti si sente la ferrovia ma è un suono che corre nel buio e fa parte dello sfondo e non lo senti.

La porta si apre nel silenzio. Un attimo e senti i respiri, un corpo che si gira nel letto, un movimento nel piano di sopra o di sotto(?) mi concentro ma non capisco.
Nel corridoio due passi normali o tre piccoli, legno, tappeto legno. La porta del bagno, come tutte le altre della casa ha le doghe dal lato verso il corridoio ed è liscia nella parte interna. Il pavimento ora è freddo di mattonelle. La porta non la chiudo, la accosto per filtrare il rumore. Attenta ai passi: uno, due, gradino, c,è una metà rialzata del bagno a interrompere la regolarità. Con la mano destra accompagno il mobile e il lavandino. Alla fine, sul lato opposto c’è il vater. La tavoletta la lascio lì com’è, potrebbe fare rumore. Sento persino il fruscio dei pantaloni del pigiama che scivolano lungo le gambe. Hanno già acceso i termosifoni piano piano. Sono centralizzati e la temperatura è costante giorno e notte. Mentre me ne sto seduta sulla coscia sinistra sento la stoffa della tenda e il tepore. Sto attenta a trovare la posizione giusta per non far rumore e non scarico mai di notte, ci penserò domani.

Il viaggio di ritorno segue lo stesso percorso, tranne la fine, quando le braccia protese e la punta dei piedi cercano il letto. È ancora caldo, ho lasciato la coperta a trattenere il calore e ora scivolo dentro che è un piacere, per i piedi soprattutto che ritrovano la nicchia sul materasso. L’odore delle lenzuola e del cuscino mi è familiare e estraneo al tempo stesso, mi ricorda quello della casa di mia zia, di quando arrivavo per un viaggetto e c’era la torta di mele pronta e la casa era lunga e stretta, lungo il corridoio, la cucina e il bagno con la caldaia a gas. Era una cosa da città la caldaia a gas. C’era sul pianerottolo la porta che permetteva di gettare i rifiuti nella stanza dei rifiuti. Era proprio così? Me lo chiedo ancora se non fosse una specie di sogno.

E l’odore del cuscino ora è simile ma un po’ diverso al tempo stesso. Si percepisce di fronte al letto la sagoma bucherellata della finestra e dietro la città.

venerdì 4 ottobre 2019

I compiti della prof - un film in un immagine - Wargames 1983


Anche se nel bar, come in tutti i bar davanti la scuola, i rumori si inseguivano e si riproducevano a volume sempre più alto; anche se la luce del mattino entrava prepotente, nel bar c’era un altro luogo. Un luogo nel luogo. Erano due ambienti simili e opposti al tempo stesso. Una specie di matrioska. 
David era al livello della bambolina più interna, la matrioska che non si apriva, perché era l’ultima, era il nucleo della vita. La sfida. 
David e lo schermo nero erano uno lo specchio dell’altro. Il nero rifletteva il volto di David ma al tempo stesso lo catturava come se anche lui facesse parte del gioco. Lo sfondo nero era riempito dalla faccia assorta di David. Era concentrato, il ragazzo. Le mani si muovevano velocissime all’inseguimento dei nemici. Le traiettorie degli alieni correvano sulla faccia di David, intrecciavano percorsi di punti luminosi azzurrini  intorno al naso, agli occhi, alla bocca e si perdevano...
Un’ombra gli tagliava a metà il profilo. La metà in ombra era la metà nascosta, quella di un ragazzo curioso, che affrontava le sfide come un videogioco, pronto a passare al livello superiore, a non perdere la moneta già inserita nella macchina. L’altra metà, quella in chiaro era l’aspetto che mostrava agli altri, a scuola, con i compagni, le battute al prof, la consulenza psicologica ricorrente e inutile, i genitori persi dietro le loro cose. La camicia a quadretti sbottonata sulla maglietta a girocollo era la sua divisa. Banale, uguale a tutti gli altri. Uguale?

mercoledì 2 ottobre 2019

i compiti della prof - descrivi l'immagine che hai scelto



L’hotel aveva un’insegna rossa. Le lettere erano squadrare e sporgevano all’angolo della facciata, in verticale. Ogni lettera era agganciata al muro con due staffe di ferro. Nonostante fosse davanti al mare non sembrava che la ruggine le avesse intaccate. Le pareti della facciata erano dipinte di bianco. Un bianco caldo che tendeva al sabbia.tra un piano e l’altro (era un piccolo hotel a tre piani) tre fasce di ardesia un po’ spioventi creavano un netto contrasto.

Ero proprio all’altezza delle lettere “tel”, il sole era quasi perpendicolare e creava una zona d’ombra che sfiorava la parte superiore delle finestre. Le vedevo tutte e due. Erano evidenziate da una cornice di muratura e gli infissi erano di legno appena più chiaro. Ogni finestra era divisa in due parti. Erano di quel tipo che si apre alzando la metà inferiore. Quella più vicina all’insegna era chiusa: un rettangolo grigio-blu segnato a metà. 

Poggiato sull’ardesia c’era un gabbiano. Voltava il dorso al mare. Lo vedevo di profilo, immobile. Sembrava che avesse gli occhi socchiusi, controvento. Il mare dietro di lui era quasi calmo appena striato di bianco. 
La giornata aveva colori netti e decisi, il mare era molto più intenso del cielo che all’orizzonte si schiariva, diventando quasi bianco. Era limpido il cielo. Una piccola nuvola bianca solitaria di allontanava spinta dal vento. 
Il gabbiano invece rimaneva immobile nel vento ma ogni tanto sembrava aprire gli occhi e fissare l’uomo. 

Anche l’uomo aveva il volto rivolto all’uccello. Era affacciato all’altra finestra, quella aperta. Si appoggiava con le braccia sul davanzale e una mano era tranquillamente abbandonata verso l’esterno. Si era portato la tazza del tè e l’aveva poggiata accanto a sè affacciata insieme a lui. Avrebbe finito di bere lì, mentre guardava fuori. 
Indossava un maglioncino grigio da marinaio con il collo a lupetto. Aveva tagliato da poco i capelli. La luce faceva risaltare la dominanza del rosso e disegnava un’ombra lunga sul viso.

Poi c’era la tenda. In alto disegnava una specie di sipario, come a teatro. Poi uno dei due teli, catturato dal vento uscì dalla finestra aperta e si spiegò verso il mare quasi fosse un’altra nuvola, trattenuta questa, che non riusciva a prendere il largo.

venerdì 27 settembre 2019

I compiti della prof - scrivi di te in terza persona, come se scrivessi un racconto con te protagonista, raccontando come sei diventato alla fine del viaggio della scuola media

Anche la prof era cambiata in questi tre anni. Invecchiata? Certamente. Era già da tempo che si riferiva a se stessa come nonnaprof. Lo aveva fatto la prima volta quando i primi alunni avevano iniziato ad avere figli, poi lo era diventata davvero, nonna. Ora anche sua nipote era a scuola e, come era successo per i suoi figli, era diventata uno specchio magico attraverso il quale rivedere in modo ancora più critico il suo modo di fare.
Questi tre anni erano passati in fretta anche per lei. Come sempre gli alunni entravano bambini e crescevano crescevano ma non era prevedibile ancora come sarebbe andata a finire; il senso di accompagnarli nel mondo sarebbe appartenuto, come sempre, ai prof delle superiori. Loro sì che avrebbero intravisto il frutto del loro lavoro.
Come ogni volta si era chiesta perché non ambisse ad insegnare alle superiori. E come sempre (allora non cambiava mai?) si era risposta che due cose le piacevano della scuola media: il miscuglio di provenienze, di storie, di paesi e di esperienze dei suoi ragazzi e poi, o soprattutto?, il sogno che ancora lei potesse fare la differenza. Tra dieci e quattordici anni fare amare la scrittura, riuscire a chiedersi sempre il perché delle cose, non studiare per il voto... era ancora convinta che i suoi alunni fossero abbastanza ‘giovani’ da riuscire ad essere diversi, ovviamente grazie a lei. Era presuntuosa.
E lei? Era cambiata? In questi tre anni come era diventata?
Diciamo che i capelli erano diventati più bianchi. Tanti fili d’argento. Erano stati tre anni faticosi. Era diventata più paziente, anche se le era costato tantissimo. Aveva fatto delle scelte che spesso le famiglie dei suoi allievi non condividevano. E se ne era stata lì per tre anni a spiegare il perché delle sue scelte, a giustificarle... ecco, mentre con i suoi alunni e i genitori parlava, parlava, spiegava... era successo che nel frattempo si interrogasse sul perché della vita, su quali fossero le cose per cui valesse la pena faticare, sugli obiettivi che aveva dentro e di cui a volte non percepisse la presenza. 
La lavagna racconta quello che gli alunni ritengono UTILE per affrontare il viaggio della scuola media.

Aveva anche iniziato a vivere di più il presente, immersa negli attimi. E ora, mentre li guardava, quei ragazzi che facevano l’ultimo esercizio di scrittura, pensava che tutto sommato erano cresciuti, non ne aveva perso nessuno, avevano meno paura della scuola, dei voti, non cercavano di “essere furbi”, erano ancora curiosi come bambini dell’asilo (vabbè si dice scuola dell’infanzia). E lei? Di cosa era curiosa?

lunedì 23 settembre 2019

I compiti della prof - impressioni, connessioni, domande

Classe 1C - lettura albo IL BUON VIAGGIO

IMPRESSIONI
Quando ho comprato questo libro, mi sono lasciata suggestionare dalle recensioni di alcune colleghe, come me appassionate di scrittura e lettura per ragazzi. Poi, quando ho cominciato a sfogliarlo mi hanno assalito i dubbi: le immagini molto belle certamente, ma difficili, così vuote di esseri umani, i colori spesso cupi, il protagonista, vecchio e sempre di spalle col cappotto pesante che lo infagotta, spesso la notte, sì, con la luna ma anche con la nebbia. 
E poi il testo: praticamente una poesia in cui si rincorrono frasi tra loro opposte: è buon viaggio quando sei solo e quando sei in compagnia, è persino buon viaggio quando pensi di fermarti.
Non ero sicura neanche che il libro piacesse a me. Eppure mi catturava. Giravo e giravo le pagine e pian piano scoprivo. Erano le inquadrature. In ogni pagina trovavo un angolazione che non avevo previsto. Ora lo sguardo di chi vedeva il disegno era quasi all’altezza della strada, come se fosse sdraiato per terra, e questa diventava lunga e infinita; ora invece guardava in alto verso il cielo e nel cielo si stagliavano le direzioni possibili; ora l’uomo, in una strana prospettiva era alto quasi o forse meno di un pinguino... 
allora ho deciso che nonostante la solitudine, la difficoltà, la strana tristezza, i contorni rarefatti, poteva essere un buon libro per cominciare.

CONNESSIONI
Quando ero piccola viaggiare non era un’esperienza così diffusa. Tra i miei compagni di classe pochissimi avevano vissuto esperienze di viaggio. Io ero privilegiata. 
Dovevo fare un lungo viaggio ogni anno. Era il viaggio dell’emigrante che ogni estate torna alla sua terra di origine ed era un viaggio lungo. Se ci penso non riesco mai a ricordare quello del ritorno, solo quello di andata. 
Erano i tempi in cui si viaggiava vestiti bene, gli uomini in giacca e cravatta, le donne con un tailleur comodo. Mi ricordo la frenesia interiore che mi prendeva qualche giorno prima di partire, perché si trattava di un’avventura. Sempre. Sopportavo anche l’idea del ritorno a casa, della fine della libertà e della vita solitaria dell’inverno, perché in mezzo c’era il viaggio. Un viaggio vero che durava almeno due giorni: macchina, navi, treno e persino un piccolo tragitto in carrozza. Era un viaggio che assomigliava a quelli che leggevo nei libri, il traghetto aveva lo stesso sapore delle navi di Salgari e salire a dare una sbirciatina su, in alto, dove c’è il timone (all’epoca i comandanti erano molto permissivi con le bambine) rendeva vero il mio essere corsaro nero.
Eppure nella mia vita c’è stato anche un tempo in cui viaggiare è stato tagliare gli ormeggi e sentirsi alla deriva. É stato il tempo in cui, anche se ero giovane ed energica, partire era faticoso e il mare tropo grande da attraversare. In quegli anni ho sofferto il mal di mare, poi è passato.
Mia nonna da piccola mi aveva insegnato un sacco di canzoni e filastrocche. In tutte c’era una barca, un mare, un viaggio. Per me i viaggi spesso hanno inizio e fine in un porto.

DOMANDE, DUBBI e QUESTIONI APERTE
Perché l’uomo sembra un vecchio? Perché è sempre infagottato in un cappotto? Perché non se ne vede il volto? Sono forse io quel vecchio? E di chi è il punto di vista del disegno? I colori scuri sono forse le parti più nascoste e in ombra dei nostri pensieri? 
Se tolgo la parola “viaggio” e la sostituisco con “vita”, il testo funziona lo stesso? Posso parlare con bambini di 10/11 anni della vita? Non sarebbe forse più facile fare un bel riassunto e leggere una storia buffa? ...vabbè, anche le storie buffe parlano della vita e anche i bambini, come me, sono stupiti dallo scorrere dei giorni e sempre si chiedono il perché delle cose (anche se a scuola fanno finta che questo non li interessi per niente, fanno finta. Ed è difficilissimo convincerli del contrario)

venerdì 17 maggio 2019

Sul tetto di spesa dei libri di testo...

Da tanti anni il tetto di spesa per i libri di testo è rimasto invariato. 
Cosa succede. Le grandi case editrici, raccolte in grandi blocchi editoriali, fanno cartello: producono testi sempre nuovi, secondo le richieste dei nuovi programmi con ammennicoli vari, testi semplificati per Bes, per i nuovi italiani, materiali multimediali, quaderni di lavoro. Questi libri, in relazione alle discipline, hanno costi più o meno standardizzati, indipendentemente dalla casa editrice. Inoltre la varietà dei pacchetti con cui poter acquistare i testi è diventata sempre più varia ma paradossalmente poco flessibile.
 A livello di scelta del collegio dei docenti, si diffondono vere e proprie strategie dell’assurdo per rispettare il tetto di spesa
Se per ogni disciplina si sceglie un testo nella media, il tetto di spesa si sfora abbondantemente. 
Possibili soluzioni: 
  • far finta di voler acquistare le versioni digitali e poi in qualche modo convincere i genitori ad acquistare le versioni miste. È un falso. 
  • Acquistare davvero solo le versioni digitali: anche questo presenta dei problemi, per esempio la scadenza del testo digitale, e soprattutto non considerare il supporto per la fruizione del testo all’interno del tetto di spesa. Pertanto, nonostante il tetto si abbassi del 30%, non pareggia le spese iniziali della dotazione. Inoltre le scuole, specie del primo ciclo non sono ancora in grado, capillarmente di permettere connessioni per tutti gli alunni e la disponibilità di connessione non è ancora così diffusa tra le famiglie italiane.
  • Mettere tra le monografie consigliate e approfondimenti testi che di fatto non lo sono, per esempio i testi di discipline come religione, motoria, geografia… questi “consigliati” sono dei falsi perché poi saranno “molto caldamente consigliati”, quasi obbligatori per le famiglie, di fatto rendendo inutile il concetto di tetto di spesa. Certo se un genitore volesse non acquistare il libro sarebbe nel suo diritto, e le classi si troverebbero in situazione mista con alunni con e senza supporto. 
  • Scegliere testi in base al prezzo e non al “valore”. Oltre che annullare la capacità di scelta, è difficilissimo poter fare confronti rapidi sui costi, perché manca un “trova prezzi” per libri scolastici (o non ne sono a conoscenza).
  • Ultima soluzione abolire alcuni libri di testo o tutti, ma questa è una soluzione poco accettata dai collegi, da molti dirigenti perché presuppone un lavoro di équipe o del singolo docente insieme alle classi per produrre e/o ricercare i materiali da utilizzare durante le attività didattiche. 
A questo punto io mi chiedo: c’è qualche scuola che è riuscita a formulare una lista di libri di testo per tutte le materie, senza superare il tetto di spesa? Se c’è, potete inviarmi la vostra lista?

domenica 12 maggio 2019

#FuturaRavenna2019 note a margine

Arrivo dopo un viaggio in treno con tre cambi: regionale/pendolari, frecciarossa, regionale/pendolari. Mi piace viaggiare in treno, nave... la lentezza mi fa percepire le distanze, vicino c’è umanità che si muove spinta da storie diverse. C’è il sole. Le voci dei vicini arrivano piano e intrecciate. Ricostruisco brandelli di vite.

L’altro giorno, mentre preparavo il mio intervento per i laboratori ho scritto questo sulla mia pagina Fb a proposito della mia scrittura “professionale”:
Mi manca il tempo per trascrivere sulla mia pagina pubblica le note e le riflessioni? Mi manca il tempo o la voglia di raccontare gli spunti, le intuizioni, i problemi che incontro e che mi stuzzicano il pensiero?
Cosa è cambiato? Credo solo due o tre cose:
1) forse la cosa più positiva: molte cose che faccio hanno perso l’aura di innovazione e ora ‘bivaccano’ tranquille nella mia routine...
2) l’attività di formazione in giro per la provincia con gli incontri, i nuovi legami è diventata una finestra social molto forte...
3) il mio lavoro ‘oscuro’ e burocratico che da 3 anni porto avanti per la gestione dei PON. È un lavoro pesante, noioso, stupidamente complesso che però permette alla mia scuola di proporre attività. È un lavoro invisibile (a volte io stessa penso di non aver concluso nulla), è un lavoro che sostanzialmente non fa guadagnare consensi, anzi. È un lavoro che riempie pensieri e giornate ma non hai voglia di raccontare...
...e questo, forse, ha fagocitato un po’ tutto.


Ravenna è una cornice bella bella, arrivo con il mio cambio da 24 ore nella borsa. Nella piazza dove ragazzi si sfidano e provano i robot, trovo Roberto indaffarato, vulcanico e pacato al tempo stesso. Si pranza tutti insieme con il sacchetto del pranzo, al sole.

Futura per me è un modo per toccare con mano vecchie amicizie nate nei grandi progetti del MIUR del passato. Sono persone che in questi anni mi hanno permesso di mantenere viva una rete nazionale di fili.
Mentre me ne sto al sole, silenziosa e osservo il vivace affannarsi intorno alla grande scritta rossa e blu per le foto di rito, penso a cosa ho percepito negli ultimi anni come formatrice e come docente.

I processi di formazione, di scambio, si sono pian piano ripiegati sul territorio. Questo non è male, anzi, ha favorito la formazione di un di un gruppo di docenti formatori legati al territorio, utilissimo per la disseminazione e per il lavoro di squadra. A me però qualcosa è mancato: lo scambio concreto tra esperienze fatte in modo diverso. Questo è uno dei motivi per cui quest’anno ho deciso di andare a Firenze per la grande mostra della scuola, di partecipare a iniziative formative regionali più ampie, però è stato un altro vivere, da osservatore.

Con Roberto Bondi tante volte ci siamo incrociati, abbiamo detto “bisogna fare qualcosa insieme”. Guardo all’Emilia-Romagna come un buon modello: ha un’istituzione, il Servizio Marconi, che permette loro di avere un gruppo, di organizzare e muoversi in modo coordinato. Con Anna Rita Vizzari abbiamo condiviso Cl@ssi 2.0, nell’esperienza pioniera. Ci siamo incontrate di persona alla documentazione finale e ci “sentiamo” a distanza sui social (dove ho incontrato in anticipo anche Mariateresa Buglione, DS della scuola che ci ospita)

Io negli ultimi anni ho perso qualcosa. Spesso ho perso la voglia di raccontare e di documentare quello che mi capita di sperimentare. Soprattutto in questi ultimi anni il supporto burocratico dato allo sviluppo dei progetti Pon, mi ha distratto dalla narrazione di quello che mi stava succedendo. Sono stati anni di grande progettazione di grandi successi, tante risorse per la mia scuola. Ho imparato tanto dalla gestione europea e, come ogni volta, mi sono buttata a capofitto e ho dovuto inevitabilmente lasciare da parte altro. Tutte queste cose mi tornano in mente mentre sono al sole.

Ravenna è una bella cornice. Sono giorni interi molto intensi concentrati in uno solo. Contemporaneamente faccio la studentessa e la formatrice. Mi piace questo doppio ruolo in contemporanea. Mi scelgo due laboratori, quello sulla Sicurezza Digitale di Andrea Sella e quello sul Visual Storytelling di Anna Rita. Mi dispiace che gli orari non mi consentano altro.

Il mio intervento sulle scritture aumentate mi obbliga a rimettere a posto gli appunti, le esperienze dell’ultimo periodo a riflettere sul senso profondo del fare. Rimettendo a posto le idee emerge prepotente una tendenza della rete di cambiare rotta, negli ultimi anni, e scivolare verso servizi e contenuti a pagamento. Pertanto la scuola deve ritagliarsi degli spazi gratuiti marginali. Con Annarita discutiamo del fatto che i nostri lavori pian piano si sperdano, ci sono servizi che chiudono, che cancellano i lavori prodotti in questi lunghi anni di esercizio, uno scenario sempre più frammentato.

Penso che il caro vecchio blog possa ancora rappresentare un punto di unione, un vero centro di smistamento di esperienze e di racconto, mi ripropongo di rimettere in ordine le idee (quando tornerò). In questi ultimi periodi ho usato il blog solo come strumento di deposito per la mia attività di formatore, materiali bruti pubblicati a servizio di un incontro.

Nei miei due laboratori incontro altri colleghi e nel racconto di ciò che fanno e ciò che vorrebbero fare, emergono nuove suggestioni (come Andrea, per esempio). Lo dico sempre che imparo più di quanto riesca a suggerire.

In questo giorno di vacanza a Ravenna osservo molto, ascolto, guardo. Ovviamente sono fuori ambiente, oscillo tra il silenzio e nuove relazioni.
Di sera si cena nel Liceo Artistico, con i ragazzi dell’Alberghiero che hanno lavorato per noi. I ragazzi si affannano. Di mattina negli stand i ragazzi giocano e fanno da portavoce e da supporto alle attività dei docenti, mi piacciono. Intanto Luigi suona e i colleghi cantano in attesa delle luci della sfilata dei Robot giocolieri. 

Immagino che come sempre tutti abbiano dovuto lavorare di corsa in tempi brevi con esperienze da montare all’ultimo momento, sempre alla rincorsa del tempo. Tanta roba e poche foto.
Mentre torniamo in albergo, chiacchieriamo con Maria e i suoi colleghi: la loro sperimentazione di Minecraft, essere maestro maschio nella scuola primaria, la scuola dell’infanzia e i nuovi genitori...
Mi dispiace essere stata troppo stanca per andare di sera all’ultimo bar insieme con Roberto, Annarita, Marco del Miur, gli altri del gruppo...

Prima delle attività del mattino dopo, capito per caso davanti ad una scuola primaria dove i genitori portano i bambini in bicicletta. Questa è un’immagine completamente diversa dalla mia realtà. E la bicicletta mi accompagna anche alla stazione mentre aspetto il viaggio di ritorno. Si tratta di biciclette pieghevoli che salgono sul treno insieme a lavoratori pendolari di vario tipo.

Ecco, forse la bicicletta pieghevole è l’icona.


Grazie al MIUR (a Marco Scancarello che è l’unico del gruppo che conosco)
Grazie all’USR Emilia Romagna e al direttore generale Stefano Versari (che mi piacerebbe conoscere) e al servizio Marconi. Grazie a Roberto Bondi e al magnifico gruppo di formatori della Emilia Romagna.

giovedì 25 aprile 2019

contenuto nascosto

Apri Chiudi
Contenuto nascosto.