venerdì 27 settembre 2019

I compiti della prof - scrivi di te in terza persona, come se scrivessi un racconto con te protagonista, raccontando come sei diventato alla fine del viaggio della scuola media

Anche la prof era cambiata in questi tre anni. Invecchiata? Certamente. Era già da tempo che si riferiva a se stessa come nonnaprof. Lo aveva fatto la prima volta quando i primi alunni avevano iniziato ad avere figli, poi lo era diventata davvero, nonna. Ora anche sua nipote era a scuola e, come era successo per i suoi figli, era diventata uno specchio magico attraverso il quale rivedere in modo ancora più critico il suo modo di fare.
Questi tre anni erano passati in fretta anche per lei. Come sempre gli alunni entravano bambini e crescevano crescevano ma non era prevedibile ancora come sarebbe andata a finire; il senso di accompagnarli nel mondo sarebbe appartenuto, come sempre, ai prof delle superiori. Loro sì che avrebbero intravisto il frutto del loro lavoro.
Come ogni volta si era chiesta perché non ambisse ad insegnare alle superiori. E come sempre (allora non cambiava mai?) si era risposta che due cose le piacevano della scuola media: il miscuglio di provenienze, di storie, di paesi e di esperienze dei suoi ragazzi e poi, o soprattutto?, il sogno che ancora lei potesse fare la differenza. Tra dieci e quattordici anni fare amare la scrittura, riuscire a chiedersi sempre il perché delle cose, non studiare per il voto... era ancora convinta che i suoi alunni fossero abbastanza ‘giovani’ da riuscire ad essere diversi, ovviamente grazie a lei. Era presuntuosa.
E lei? Era cambiata? In questi tre anni come era diventata?
Diciamo che i capelli erano diventati più bianchi. Tanti fili d’argento. Erano stati tre anni faticosi. Era diventata più paziente, anche se le era costato tantissimo. Aveva fatto delle scelte che spesso le famiglie dei suoi allievi non condividevano. E se ne era stata lì per tre anni a spiegare il perché delle sue scelte, a giustificarle... ecco, mentre con i suoi alunni e i genitori parlava, parlava, spiegava... era successo che nel frattempo si interrogasse sul perché della vita, su quali fossero le cose per cui valesse la pena faticare, sugli obiettivi che aveva dentro e di cui a volte non percepisse la presenza. 
La lavagna racconta quello che gli alunni ritengono UTILE per affrontare il viaggio della scuola media.

Aveva anche iniziato a vivere di più il presente, immersa negli attimi. E ora, mentre li guardava, quei ragazzi che facevano l’ultimo esercizio di scrittura, pensava che tutto sommato erano cresciuti, non ne aveva perso nessuno, avevano meno paura della scuola, dei voti, non cercavano di “essere furbi”, erano ancora curiosi come bambini dell’asilo (vabbè si dice scuola dell’infanzia). E lei? Di cosa era curiosa?

lunedì 23 settembre 2019

I compiti della prof - impressioni, connessioni, domande

Classe 1C - lettura albo IL BUON VIAGGIO

IMPRESSIONI
Quando ho comprato questo libro, mi sono lasciata suggestionare dalle recensioni di alcune colleghe, come me appassionate di scrittura e lettura per ragazzi. Poi, quando ho cominciato a sfogliarlo mi hanno assalito i dubbi: le immagini molto belle certamente, ma difficili, così vuote di esseri umani, i colori spesso cupi, il protagonista, vecchio e sempre di spalle col cappotto pesante che lo infagotta, spesso la notte, sì, con la luna ma anche con la nebbia. 
E poi il testo: praticamente una poesia in cui si rincorrono frasi tra loro opposte: è buon viaggio quando sei solo e quando sei in compagnia, è persino buon viaggio quando pensi di fermarti.
Non ero sicura neanche che il libro piacesse a me. Eppure mi catturava. Giravo e giravo le pagine e pian piano scoprivo. Erano le inquadrature. In ogni pagina trovavo un angolazione che non avevo previsto. Ora lo sguardo di chi vedeva il disegno era quasi all’altezza della strada, come se fosse sdraiato per terra, e questa diventava lunga e infinita; ora invece guardava in alto verso il cielo e nel cielo si stagliavano le direzioni possibili; ora l’uomo, in una strana prospettiva era alto quasi o forse meno di un pinguino... 
allora ho deciso che nonostante la solitudine, la difficoltà, la strana tristezza, i contorni rarefatti, poteva essere un buon libro per cominciare.

CONNESSIONI
Quando ero piccola viaggiare non era un’esperienza così diffusa. Tra i miei compagni di classe pochissimi avevano vissuto esperienze di viaggio. Io ero privilegiata. 
Dovevo fare un lungo viaggio ogni anno. Era il viaggio dell’emigrante che ogni estate torna alla sua terra di origine ed era un viaggio lungo. Se ci penso non riesco mai a ricordare quello del ritorno, solo quello di andata. 
Erano i tempi in cui si viaggiava vestiti bene, gli uomini in giacca e cravatta, le donne con un tailleur comodo. Mi ricordo la frenesia interiore che mi prendeva qualche giorno prima di partire, perché si trattava di un’avventura. Sempre. Sopportavo anche l’idea del ritorno a casa, della fine della libertà e della vita solitaria dell’inverno, perché in mezzo c’era il viaggio. Un viaggio vero che durava almeno due giorni: macchina, navi, treno e persino un piccolo tragitto in carrozza. Era un viaggio che assomigliava a quelli che leggevo nei libri, il traghetto aveva lo stesso sapore delle navi di Salgari e salire a dare una sbirciatina su, in alto, dove c’è il timone (all’epoca i comandanti erano molto permissivi con le bambine) rendeva vero il mio essere corsaro nero.
Eppure nella mia vita c’è stato anche un tempo in cui viaggiare è stato tagliare gli ormeggi e sentirsi alla deriva. É stato il tempo in cui, anche se ero giovane ed energica, partire era faticoso e il mare tropo grande da attraversare. In quegli anni ho sofferto il mal di mare, poi è passato.
Mia nonna da piccola mi aveva insegnato un sacco di canzoni e filastrocche. In tutte c’era una barca, un mare, un viaggio. Per me i viaggi spesso hanno inizio e fine in un porto.

DOMANDE, DUBBI e QUESTIONI APERTE
Perché l’uomo sembra un vecchio? Perché è sempre infagottato in un cappotto? Perché non se ne vede il volto? Sono forse io quel vecchio? E di chi è il punto di vista del disegno? I colori scuri sono forse le parti più nascoste e in ombra dei nostri pensieri? 
Se tolgo la parola “viaggio” e la sostituisco con “vita”, il testo funziona lo stesso? Posso parlare con bambini di 10/11 anni della vita? Non sarebbe forse più facile fare un bel riassunto e leggere una storia buffa? ...vabbè, anche le storie buffe parlano della vita e anche i bambini, come me, sono stupiti dallo scorrere dei giorni e sempre si chiedono il perché delle cose (anche se a scuola fanno finta che questo non li interessi per niente, fanno finta. Ed è difficilissimo convincerli del contrario)